Energia
roma
20 febbraio 2016
Anche la Shell lascia l'Adriatico
La politica non lascia scampo: persi 2 miliardi di investimenti
20 febbraio 2016 - roma - Da 16,2 miliardi di euro dell’ottobre 2014 a 5,8 di un mese fa. In un anno e mezzo, l’Italia ha persone 11 miliardi di euro di investimenti nel settore delle estrazioni di idrocarburi. Lo Stato, a causa di ciò, ha rinunciato deliberatamente all’incasso di milioni in tasse e le Regioni ad altrettante royalty. “Estrarre idrocarburi inquina” gridano alcune regioni adriatiche come Abruzzo e Puglia, ma non parlano dei procedimenti penali aperti per discariche abusive che inquinano le falde e il mare.
In questo panorama, le aziende decidono di andarsene dall’Italia. Ultima – come riferisce Il Sole 24 Ore, la Shell che “abbandona i giacimenti nel golfo di Taranto. I 2 miliardi di euro in investimenti che erano stati accantonati per essere impegnati in Italia prendono un’altra strada. Forse andranno nel Golfo Persico, oppure in altre parti del mondo in cui quei soldi fanno gola e dove hanno bisogno di usare le royalty generate dal petrolio”.
La Shell ha mandato al ministero dello Sviluppo economico la lettera — un pugno di righe scritte in termini tecnici — con cui rinuncia al permesso di cercare il petrolio nel mare fra Puglia, Basilicata e Calabria. “Il motivo dell’abbandono – aggiunge il Sole - non è il prezzo basso del greggio. Le compagnie petrolifere decidono gli investimenti sulla base delle disponibilità finanziarie, ovviamente, e i valori attuali del petrolio rendono più magra la borsa cui attingere, ma programmano gli investimenti con una visione di molti anni, anche di decenni.
Il motivo per cui rinunciano è il rischio Paese. Qualsiasi programma di investimento viene reso inaffidabile dal tira-e-mol- la della politica italiana, la cui visione non ha una prospettiva di decenni, non a mesi e nemmeno a settimane.
Non si sa nel dettaglio quanto greggio c’è là sotto. I geologi, elaborate le mappe del sottosuolo, assicurano che ce ne sia no quantità impressionanti. Il “tema geologico”, come dicono loro, è lo stesso della Val d’Agri e di Tempa Rossa, i più importanti giacimenti europei in terraferma”.
Ma ci sono colpe ben precise a livello politico. Dieci Regioni (l’Emilia Romagna si è chiamata fuori) hanno ottenuto di fare un referendum no triv per bloccare le attività petrolifere. A fine dicembre il Governo, nel tentativo di evitare il refe- rendum, ha vietato tutte le attività nelle acque nazionali, cioè entro le 12 miglia dalla costa.
Così, in nome di qualche voto no triv, si butta mare un patrimonio, si licenziano dipendenti e si paga più cara l’energia che si acquista all’estero.
© copyright Porto Ravenna News
In questo panorama, le aziende decidono di andarsene dall’Italia. Ultima – come riferisce Il Sole 24 Ore, la Shell che “abbandona i giacimenti nel golfo di Taranto. I 2 miliardi di euro in investimenti che erano stati accantonati per essere impegnati in Italia prendono un’altra strada. Forse andranno nel Golfo Persico, oppure in altre parti del mondo in cui quei soldi fanno gola e dove hanno bisogno di usare le royalty generate dal petrolio”.
La Shell ha mandato al ministero dello Sviluppo economico la lettera — un pugno di righe scritte in termini tecnici — con cui rinuncia al permesso di cercare il petrolio nel mare fra Puglia, Basilicata e Calabria. “Il motivo dell’abbandono – aggiunge il Sole - non è il prezzo basso del greggio. Le compagnie petrolifere decidono gli investimenti sulla base delle disponibilità finanziarie, ovviamente, e i valori attuali del petrolio rendono più magra la borsa cui attingere, ma programmano gli investimenti con una visione di molti anni, anche di decenni.
Il motivo per cui rinunciano è il rischio Paese. Qualsiasi programma di investimento viene reso inaffidabile dal tira-e-mol- la della politica italiana, la cui visione non ha una prospettiva di decenni, non a mesi e nemmeno a settimane.
Non si sa nel dettaglio quanto greggio c’è là sotto. I geologi, elaborate le mappe del sottosuolo, assicurano che ce ne sia no quantità impressionanti. Il “tema geologico”, come dicono loro, è lo stesso della Val d’Agri e di Tempa Rossa, i più importanti giacimenti europei in terraferma”.
Ma ci sono colpe ben precise a livello politico. Dieci Regioni (l’Emilia Romagna si è chiamata fuori) hanno ottenuto di fare un referendum no triv per bloccare le attività petrolifere. A fine dicembre il Governo, nel tentativo di evitare il refe- rendum, ha vietato tutte le attività nelle acque nazionali, cioè entro le 12 miglia dalla costa.
Così, in nome di qualche voto no triv, si butta mare un patrimonio, si licenziano dipendenti e si paga più cara l’energia che si acquista all’estero.
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